venerdì 28 giugno 2013

"Man of Steel" RECENSIONE

Partiamo subito con un bello SPOILER: “Man of Steel”, pellicola con cui Cristopher Nolan (soggetto) e Zack Snyder (regia) intendono rinnovare il super-eroe per eccellenza Superman, si chiude con una lotta senza esclusione di colpi a cui il kryptoniano dal cuore d'oro riesce a porre fine solo spezzando il collo del suo avversario, il malvagio generale Zod. Rapido si leva il coro. Orrore! Eresia! Superman non uccide! Personaggio travisato! Maledetta sia Hollywood che rovina i nostri eroi del cuore!
Sì, va bene. Però è importante non farsi distrarre da simili polemiche, soprattutto quando sembrano create ad arte per alimentare il buzz attorno ad una pellicola ed invogliare più gente a pagare il biglietto. Nessun fan del Superman di carta può urlare allo scandalo per quel collo spezzato, semmai dovrebbe apprezzarne la coerenza. Facciamo qualche passo indietro: quando a metà degli anni '80 la DC Comics decise di far ripartire da zero il suo intero universo narrativo, già vecchio di cinquant'anni, confusionario, contorto e appassito, affidò la revisione del crociato rossoblu a John Byrne, che all'epoca era una delle matite più prestigiose del fumetto USA. Nolan e Snyder conoscono sicuramente quel ciclo di racconti, e lo prova già il fatto che abbiano chiamato la loro pellicola come la miniserie con cui Byrne inaugurò la propria gestione, intitolata, per l'appunto, “Man of Steel”. E sapete come chiuse Byrne la sua run sul personaggio? Proprio con l'assassinio di Zod per mano del buon Kal-El (ma in quel caso preferiva esporlo alla micidiale kryptonite verde).
Ciò detto, più che chiederci se sia plausibile che Superman arrivi a uccidere un avversario a sangue freddo (evidentemente lo è, almeno in determinate circostanze) sarebbe meglio concentrare le nostre energie sugli aspetti realmente deludenti di questo film. “Man of Steel”, infatti, è un prodotto tutt'altro che riuscito. Ed è un vero peccato, perché da un punto di vista formale si tratta forse del miglior cine-comic mai realizzato: le scene d'azione sono efficacissime, gli effetti speciali mai sotto l'eccellenza, ogni immagine è curatissima e spettacolare. A ben vedere, la maggior parte dei suoi difetti è attribuibile al Trattamento Nolan a cui è stata sottoposta la trama. Elencarli tutti sarebbe un lavoro improponibile (sono tantissimi e comunque c'è chi l'ha già fatto in modo assai efficace), quindi ci limiteremo alla pecca più evidente.
Definiamo il Trattamento Nolan: consiste nel rendere i super-eroi più oscuri e quindi (presumibilmente) più realistici e moderni. Questo approccio nasce dall'incrociarsi di due bisogni: il primo è il bisogno degli studios Warner di far affezionare un nuovo pubblico a personaggi arcinoti e quasi ammuffiti (in altre parole: fare soldi), il secondo è il bisogno tutto personale di Nolan di non vedere intaccata la propria immagine di Autore con la A maiuscola nonostante si stia prestando ad operazioni smaccatamente mainstream (in altre parole: fare soldi, ma senza farlo vedere).
Attualizzare è bello, attualizzare è giusto, ma è possibile attualizzare qualcosa solo se se ne possiede una conoscenza attenta e approfondita. Un esempio per tutti: se Alan Moore ha saputo rifondare il concetto stesso di super-eroe con “Watchmen” è perché ama profondamente la materia (e infatti “Watchmen” non è un lavoro di puro e semplice restyling, è anche una summa di tutto il genere super-eroistico, delle sue evoluzioni e dei suoi topoi). Non credo che Nolan conosca a fondo i fumetti che ha trasposto in film, e certamente non li ama. Il suo Batman non è una attualizzazione del personaggio classico, è un Batman banalizzato e travisato (praticamente un super-poliziotto con qualche gadget in più e uno strano cappuccio). I suoi sono film di super-eroi che si vergognano di essere film di super-eroi e cercano in ogni modo di sembrare altro. Ma Batman, almeno, è già in partenza più realistico e oscuro della media dei personaggi DC, quindi il Trattamento Nolan non lo violenta più di tanto. Con Superman la questione si fa più complessa.
Perché alla fine il Trattamento Nolan attualizza, ma solo fino a un certo punto. La paura di scontentare il grande pubblico è sempre in agguato, e inoltre maneggiare un'icona pop, anche se ingenua e kitsch come quella di Superman, può essere un lavoro più difficile di quanto non sembri a prima vista. E così non ci si spinge davvero fino a rifondare il mito, ci si limita solo a modificarne qualche dettaglio fra i più evidenti (per esempio eliminando i famigerati mutandoni rossi). Ne risulta una storia pressoché identica a quella già nota ai più (o, meglio, a quella del pluricelebrato film di Richard Donner del 1978) con la differenza che alcuni elementi sono stati gonfiati o alterati per dare l'illusione del nuovo. 
Stavolta la parola d'ordine è “emarginazione”: Superman è ora l'alieno, è il diverso che difende un'umanità probabilmente non altrettanto pronta ad accettarlo (a ben vedere si tratta di una chiave di lettura molto “Marvel”, a metà strada fra X-Men e Spiderman). Per fare emergere questa nuova tematica, Nolan e Snyder hanno scelto di dare molto più risalto alle sue origini kryptoniane, tratteggiando, al contempo, gli anni della sua formazione terrestre in modo superficiale e sbrigativo.
Il problema è che la trama ne esce inevitabilmente impoverita, quasi incompleta. Perché Superman è sì un alieno e un diverso, come questa pellicola ci tiene a sottolineare. Ma Superman è soprattutto l'eroe per antonomasia, il bene assoluto, la forza onnipotente capace di salvare e ispirare l'umanità. E questo, se non si fosse capito, non ha niente a che vedere con le sue origini extra-terrestri, ma è frutto della sua bildung tutta umana, anzi (piaccia o meno) tutta americana . Senza Pa' e Ma' Kent, non ci sarebbe nessun Superman ma solo un alieno potentissimo, confuso e solo. Non sono la super-forza o il potere del volo, ma gli anni passati presso due semplici e onesti agricoltori del Kansas a forgiare il piccolo Kal-El in un esempio di bontà e altruismo per il mondo intero.
A questo fondamentale percorso, purtroppo, il film non concede che pochi, squallidi flashback, in cui un irriconoscibile Jonathan Kent, invece di spronare il figlio adottivo a utilizzare i propri poteri a fin di bene, gli consiglia ripetutamente di farsi i fatti suoi: “gli umani ti odieranno”, ripete incessantemente, “per loro sarai sempre un mostro, sarai sempre solo”. Tutto ciò toglie senso e coerenza alla storia. Dopo scene simili, infatti, è impossibile non domandarsi dove il Superman adulto trovi la voglia di ergersi in difesa dei terrestri, visto che ha passato tutta la vita a temerli.
Ecco cosa succede quando più che innovare davvero ci si limita a pasticciare un po' la solita vecchia storia. Per questo il Trattamento Nolan in “Man Of Steel” non funziona neanche un po'. Perché a volte alterare qualche dettaglio qua e là serve solo a rovinare il quadro d'insieme, privandolo del giusto equilibrio e di un senso compiuto.