E' incredibile: non riesco a trovare in
rete neanche una recensione negativa a “La Meglio Gioventù” di
Marco Tullio Giordana. Allora mi sa che sarò costretto a scriverla
io.
“La Meglio Gioventù” (2002) si
propone come una magniloquente epopea sulla storia italiana recente.
Narra le vicende di una famiglia romana, i Carati, che dal 1966 al
2003 viene influenzata o coinvolta da tutti i principali eventi della
vita politica e culturale del nostro paese: la legge Basaglia, la
contestazione giovanile, il terrorismo, le stragi mafiose. Si tratta
forse di un pretesto un po' forzato, ma non è questo il problema. Il
problema, quello che nessuno sembra volere ammettere, è che “La
Meglio Gioventù” è soprattutto una fiction insulsa e che in
questa sua insulsaggine è il ritratto fedele e spietato della
generazione che vorrebbe celebrare, e di cui gli stessi autori fanno
parte, ovvero la generazione di chi aveva vent'anni nel '68. E ne
ricalca al meglio i fallimenti, l'autoreferenzialità e l'ipocrisia,
e soprattutto l'incapacità di leggere il mondo presente.
Basta confrontare la prima parte del
film, in cui si narrano vicende relative alla fine degli anni
Sessanta e ai primi Settanta - un'epoca che gli sceneggiatori Rulli e
Petraglia devono aver vissuto intensamente e in prima persona- con la
seconda parte, in cui ci si sposta progressivamente verso l'oggi.
Nella prima metà storia e ambientazione sono ancora coerenti e
sensate, soprattutto si nota una notevole cura e abilità nel
ricostruire ambienti, mode, slang giovanile dell'epoca, e c'è un
giusto mix di pubblico e privato nelle vicende dei protagonisti. Poi,
a partire dagli anni Ottanta, gli autori iniziano a navigare a vista,
la ricostruzione storica si fa sempre più sciatta, l'aspetto
pubblico delle storie scompare o si banalizza in favore di un privato
sempre più involuto e irrealistico (non manca nemmeno un figlio
segreto, come nelle migliori soap opera d'oltreoceano, e c'è
addirittura un fantasma, sì, proprio un fantasma, ma facciamo che
non vi ho detto niente, ok?). Il tutto si riduce così ad un
melodramma insulso, una sequela infinita di scene strappalacrime e
fintamente “intense”.
Se la pecca della prima parte sta, quindi, in un
Sessantotto descritto forse troppo oleograficamente, l'intera
seconda parte consiste in una solenne, desolante alzata di mani in
segno di resa: non sappiamo più di cosa stiamo parlando, non
sappiamo descrivere il mondo post-1977, non ci appartiene, non lo
conosciamo e, in fondo, non ci interessa. Un caso eclatante di “due
pesi e due misure”.
L'elemento più disastroso di questa
kolossale ciofeca, comunque, sono i personaggi, tutti poco
approfonditi quando non decisamente bidimensionali. Limitandoci alla
sola famiglia Carati, oltre all'insipido protagonista LoCascio
abbiamo un Alessio Boni “fratello tormentato”, ma di un
“tormento” fine a sé stesso e che nessuno si prenderà mai la
briga non dico di spiegare, ma almeno di analizzare un po', una
Adriana Asti madre e vedova sofferente dagli occhi perennemente
sgranati che non sembra fare altro che piangere e commuoversi, e poi
ancora piangere, e poi di nuovo commuoversi (ad lib), ed infine una
sorella del tutto anonima, la cui unica funzione è sposare il
migliore amico di LoCascio (è talmente anonima che non sento neanche
il bisogno di dirvi il nome dell'attrice). Forse c'è anche un'altra
sorella, ma chi se ne frega.
Merita, però, una menzione speciale il
personaggio di Sonia Bergamasco, il cui iter umano e morale (da
studentessa a madre contestataria, a terrorista, a pentita e poi
nuovamente madre) poteva essere davvero interessante, se trattato con
un minimo di cura, ma gli autori se ne sono guardati bene.
Sciatteria si aggiunge a sciatteria ed
è così che nell'ultima porzione di film ritroviamo i nostri eroi
della rivoluzione sessuale prendersi amabilmente in giro al suon di
“checca persa”, i nostri cultori della fantasia al potere
criticare i capelli lunghi dei giovani-di-oggi, il tutto dalla quiete
di una lussuosa villetta in Toscana, gustando un buon brandy. Odiosi
a dir poco.
Ed è qui che, finalmente, tutto si fa
chiaro. Era a questo che Giordana e i suoi sceneggiatori puntavano
fin dall'inizio, fin dal titolo. Riesco quasi a sentire le loro voci altisonanti: “siamo NOI la meglio gioventù, noi che abbiamo lottato
per cause giuste e grandiose, forse abbiamo vinto, forse no, ora però
lasciateci cullare nella contemplazione della nostra grandezza e levatevi dalle palle!”.
PS: Attenti! Arriva il fantasmaaaahh!!
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